Disfida di Barletta
La Disfida di Barletta è un epico scontro cavalleresco tra 13 cavalieri italiani e altrettanti cavalieri francesi, avvenuto il 13 Febbraio 1503.
Ecco quale era la situazione storica in cui versava il Meridione, ed in particolare la Puglia, e quale fu il prologo che portò poi alla celebre battaglia, nota a tutti come la Disfida di Barletta.

La contesa tra francesi e spagnoli
Nei primi mesi del 1503 Barletta era una città contesa tra i francesi che l’assediano e gli spagnoli che l’hanno occupata.
In quel periodo storico la Puglia ha perso la centralità che aveva ai tempi di Federico II e della sua corte, ma nonostante ciò Barletta resta un punto nevralgico in cui si trovano uno di fronte all’altro due degli eserciti più potenti d’Europa, eserciti che vogliono spartirsi l’Italia.
Al comando degli spagnoli c’è Consalvo da Cordova, conosciuto con il soprannome di Gran Capitano, che ha scelto di fare del castello di Barletta il proprio quartier generale, nell’attesa di rinforzi. Ecco anche il motivo della scelta di questa città, ossia l’affaccio sul mare, che avrebbe permesso un comodo arrivo dal mare di viveri e rinforzi.
L’assedio, iniziato nell’estate del 1502, va avanti da qualche mese. A capo dei francesi c’è Louis D’Armagnac, duca di Nemours e viceré di Napoli, che vuole prendere possesso della città. Per farlo, decidere di creare una tattica di logoramento, ossia mettere i propri soldati nei luoghi circostanti, bloccando in tal modo i rifornimenti di viveri e sperando che per la peste e la carestia gli spagnoli fossero costretti ad abbandonare Barletta.
Non ci furono infatti grandi battaglie tra i due schieramenti, ma talvolta i cavalieri delle due compagini si incontravano nelle campagne vicine e davano vita a scaramucce e piccoli duelli, il cui obiettivo era fare prigioniero un nemico di alto rango per poi chiedere un riscatto per la liberazione.
Oltre a francesi e spagnoli, sul territorio ci sono anche gli italiani, soldati di ventura che cambiano schieramento in base alle opportunità economiche. Nel periodo in questione gli italiani sono con gli spagnoli e provengono dai vari stati di cui è composta la nazione, che erano spesso in mano a forze straniere (che approfittavano della debolezza dovuta a tale divisione). Tuttavia gli italiani si riconoscono come facenti parte di un’unica comunità nazionale e di un unico popolo.
La cattura dei soldati francesi
Spagnoli e italiani sono messi in un angolo, assediati, i duelli nelle campagne proseguono, ma il 15 Gennaio 1503 succede qualcosa che cambia le carte in tavola: un gruppo di soldati spagnoli e un gruppo di soldati italiani comandati dal principe romano Prospero Colonna catturano decine di soldati francesi e li sistemarono nei palazzi delle famiglie nobili della città di Barletta. Qui, come da tradizione cavalleresca, rimasero in una condizione di mezzo tra l’ospite e l’ostaggio, in attesa del pagamento del riscatto.
La cena presso la cantina
La sera stessa Consalvo da Cordoba organizza una grande cena presso una cantina (oggi nota come “La Cantina della Sfida“), invitando anche i più in vista tra i cavalieri francesi, tra cui Charles de Tongue, detto Charles de la Motte.

L’invito a cena in questa cantina non è però soltanto un gesto di ospitalità verso dei prigionieri di alto rango ma nasconde anche degli obiettivi diplomatici più sottili, perché Consalvo da un lato vuol far sapere ai francesi che gli spagnoli non sono a corto di viveri, dall’altro vuole risollevare il morale degli italiani, provati da lunghi mesi di occupazione.
L’idea è quella di prendere un po’ in giro i francesi, quasi di umiliarli, insistendo sulla superbia, la loro più grande debolezza. Ciò che avviene nella cantina quindi non è una cena distintiva ma una provocazione. La superbia dei francesi è tanta al punto che nessun paragone si possa osare nè compararli agli uomini di altre nazioni, specialmente poi al popolo italiano.
La storia della sfida
Durante la cena presso la cantina l’incaricato di stuzzicare i francesi sulla loro superbia è un ufficiale spagnolo, tale Iñigo López, che lo fa con un crescendo di provocazioni. Inizia con l’esaltare il valore dei cavalieri italiani, sostenendo poi che questi siano addirittura molto meglio di quelli francesi e chiude dicendo che tutti quanti sbagliano nel ritenere i cavalieri francesi l’élite della cavalleria europea, affermando che in fondo non siano granché.
La Motte, capitano dei francesi, non può rimanere in silenzio e ribatte che i cavalieri italiani, vili e codardi, non possono neanche essere paragonati a quelli francesi e, per provarlo, lancia la sfida. Afferma che egli stesso avrebbe preso parte alla battaglia se dieci cavalieri italiani sarebbero stati pronti a sfidare dieci francesi. Nei giorni a seguire, invece di sedare gli animi, Consalvo inizia a stuzzicare gli italiani, convincendoli che fosse il caso di vendicare l’onore di tutta la nazione.
L’organizzazione dello scontro
Il 12 Febbraio 1503, dopo circa un mese di trattative e incontri organizzativi, ad Andria si ritrovano i cavalieri italiani. A Prospero e Fabrizio Colonna è stato dato l’incarico di organizzare la compagine italiana, alla quale mettono a capo il valoroso Ettore Fieramosca da Capua, eroe famoso per le sue doti umane e militari.
Nel frattempo La Motte è stato liberato per dargli modo di organizzare la propria squadra, così tornato in campo francese si accorge di avere a disposizione tredici campioni. Comunica agli italiani questo cambio di numero, e gli italiani accettano di buon grado, scegliendo i più valorosi da ogni provincia d’Italia, in modo che ovunque potesse spargersi l’onore della vittoria sperata.
La data della Disfida di Barletta è fissata per il 13 Febbraio 1503 e viene deciso il regolamento: ogni squadra avrà a disposizione 4 giudici e saranno loro a fare da arbitri. Si combatterà a cavallo con le lance e dopo sono previsti duelli con la spada, con la mazza e con la scure. Si decide anche quale sarà il premio: 100 corone a testa per ogni cavaliere vincitore, oltre ovviamente alle armi e ai cavalli degli sconfitti, come previsto nei tornei tra cavalieri.
La mattina della battaglia i cavalieri italiani sono ad Andria, dove assistono ad una messa solenne presso la Cattedrale di S. Maria Assunta. Durante il Vangelo giurano di voler morire piuttosto che lasciare il campo da sconfitti e dopo la messa si radunano davanti al gran capitano spagnolo Consalvo che fa un discorso per stimolarli alla vittoria e li incita richiamando alla loro memoria gli onori e la gloria militare del passato della loro nazione.
A Ruvo, dove c’è il comando francese, si svolge una scena analoga a parti invertite. Qui il duca di Nemours dice ai propri cavalieri che è impossibile perdere contro gli italiani che, da sempre timorosi, tante volte gli hanno consentito di passare dalle Alpi fino alla punta dell’Italia.
La battaglia tra francesi e italiani
Nel pomeriggio i cavalieri delle due compagini si ritrovarono a Trani, nelle campagne di Contrada Sant’Elia, luogo stabilito per la sfida. Trani è un campo neutro, né spagnolo, né francese, in quanto è sotto la giurisdizione della Repubblica di Venezia.

Il campo è un quadrato di 200 metri delimitato da un solco e chi lo oltrepassa viene eliminato. Con un gesto di cavalleria gli italiani scelgono il lato del campo contro sole. I francesi prendono subito l’iniziativa e decidono con furia di andare all’attacco al galoppo. Gli italiani sono fermi e con coraggio si limitano ad abbassare le lance per sostenere l’urto. I francesi non riescono a sfondare e nell’urto le loro lance si spezzano, il combattimento diventa subito ravvicinato e si passa alle altre armi.
Tra i vari duelli c’è anche quello tra i due capitani, Ettore Fieramosca per gli italiani e La Motte per i francesi. Fonti raccontano che Fieramosca riesce a buttar giù da cavallo La Motte e poi con un gesto di cavalleria scende anche lui di sella per continuare il combattimento a terra. Ma l’esito non cambia, colpito più volte alla fine La Motte si arrende.
La sfida va avanti sul campo fino a quando l’ultimo dei francesi rimasto in piedi getta le armi. Dopo poco più di un’ora dall’inizio, la sfida è terminata e gli italiani vengono decretati vincitori dai giudici e lasciano il campo tutti da vivi. I cavalieri italiani prendono i francesi e li legano, ognuno si trascina dietro il suo, e se ne vanno trionfanti a Barletta.
Il corteo storico trionfale
La sera, la notizia della vittoria arriva in città, annunciata da colpi di artiglieria sparati dalle mura del castello e seguita dal suono delle campane di tutte le chiese della città. Quando il corteo dei vincitori arriva a Barletta, su ogni finestra ci sono dei lumi e la gente gli corre incontro festante, tra fiaccole, musiche e canti.
Il corteo arriva in cattedrale per ringraziare la Madonna che è raffigurata in un quadro e che da quel giorno cambia nome, e da Madonna dell’Assunta diventa Madonna della Disfida.
Al momento del pagamento per la sconfitta si scopre che i francesi, convinti della propria vittoria, non hanno con sé le 1300 corone pattuite, così Consalvo, contento di aver portato a termine il suo piano, decide di pagare di tasca propria le 100 corone a testa ai cavalieri italiani vincitori dello scontro. Del resto, come ricorda un’iscrizione sui muri della cattedrale, “del gran capitan in Barletta, nell’anno 1503 fu la gran vittoria”.
I 13 cavalieri della Disfida di Barletta
Barletta afferma oggi all’articolo 5 del suo Statuto comunale che “Il Comune di Barletta assume il titolo di Città della Disfida a ricordo della storica Sfida del 13 febbraio 1503” (tratto da Wikipedia).
Il celebre scontro cavalleresco ha ispirato opere letterarie come il romanzo storico Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta (1833) di Massimo d’Azeglio nel 1833. La sfida ispirò anche alcuni film, tra cui la commedia Il soldato di ventura (1976) di Pasquale Festa Campanile, con Bud Spencer nel ruolo di Fieramosca.
Desideriamo dunque ricordare i protagonisti della Disfida di Barletta, i 13 cavalieri provenienti da tutta Italia, coloro che difesero l’onore della città e della nazione tutta. Di loro ricordiamo i nomi e gli stemmi.

Ettore Fieramosca
da Capua

Ludovico Abenavoli
da Capua e Teano

Mariano Abignente
da Sarno

Guglielmo Albimonte
da Palermo

Giovanni Brancaleone
da Genazzano

Giovanni Capoccio
da Roma

Bartolomeo Fanfulla
da Lodi

Ettore Giovenale
da Roma

Miale
da Troia

Riccio
da Parma

Romanello
da Forlì

Francesco Salomone
da Sutera

Marco Corollario
da Napoli